Nuovo Cinema Monviso. Fredo Valla su Unico
Maggio 26, 2015Salito alla ribalta grazie a “Il vento fa il suo giro”, Fredo Valla è regista e sceneggiatore. Un novello trovatore che ama raccontare storie attraverso la macchina da presa.
Tornante dopo tornante lo spirito si fa più leggero, l’aria si rischiara e viene meno il peso della fretta di ogni giorno. Sullo sfondo il gigante di pietra, così vicino da togliere il fiato. Salire a Ostana, in alta Valle Po, è un po’ come liberarsi delle zavorre e degli orpelli che, più o meno consapevoli, ci portiamo dentro.
E così è anche con Fredo Valla.
I suoi sono occhi che scrutano nell’anima senza i veli dell’ipocrisia. Una lunga carriera nel mondo dell’editoria e del cinema, dopo la militanza nel movimento occitano in gioventù, lo ha portato a conoscere molti luoghi del mondo, ma qui è sempre tornato. In questo angolo tête-à-tête con il Monviso, dove vive con il figlio Peire, e che ha trasformato in una fucina di idee, di creatività, tra cinema, scrittura e tutto ciò che anche indirettamente tocca la settima arte.
Ci parla di sé e dei suoi percorsi, in un dialogo limpido, lucido, senza riserve e con grande umiltà.
Come nasce Fredo Valla?
Da giovane, prima di incamminarmi per questa strada, ho fatto molte cose. Dopo aver studiato da geometra a Cuneo, feci 15 giorni di apprendistato nello studio di mio zio a Sampeyre, perché nelle intenzioni dei miei avrei dovuto ereditare “il mestiere”, ma capii subito che non faceva per me… Mi iscrissi poi a Geologia, ma lasciai presto l’università. In quel periodo divampava la questione occitana e io decisi di darmi, quasi a tempo pieno, alla militanza. Era la fine degli anni ’60 e la causa occitana ci dava vigore, faceva sentire noi giovani “montanari” orgogliosi di esserlo… Ma ho fatto anche il fabbro e seguito un corso biennale da arredatore di interni a Torino.
L’incontro con Serge Bertino…
La svolta arriva casualmente solo negli anni ’80. A una cena conosco Serge Bertino, scrittore di libri per ragazzi, documentarista, divulgatore nell’ambito delle scienze naturali, che all’epoca collaborava con il comandante Cousteau. Mi chiede di lavorare con lui e io, più per educazione e timidezza che per vero entusiasmo, accetto. E così divento, come si dice oggi, il suo ghostwriter. Alla sua morte, nel 1984, “eredito” i contatti con le case editrici più prestigiose, da Mondadori (e tutto il mondo Disney, “Topolino” per primo) a Deagostini, e inizio a pubblicare libri per ragazzi, che verranno poi tradotti in molte lingue, oltre a firmare pezzi per mensili come “Airone”, “Atlante”, “Gardenia”, “Aqua”… Già da qualche anno, però, Bertino si era dato al cinema, con il documentario naturalistico e, di conseguenza, anch’io mi stavo avvicinando a quell’ambiente. Di fatto, alla fine degli anni ’80, siccome il mondo dell’editoria cominciava ad arrancare, inizia il mio percorso cinematografico. Le pubblicazioni, in effetti, non mi permettevano più di mantenermi come prima, mentre il cinema, se vogliamo, viveva di vita propria e mi consentiva di lavorare in altri modi e in tempi diversi.
Come ha influito Ipotesi Cinema a livello formativo?
È stato sicuramente un punto di svolta, anche per il modo in cui la scuola era impostata. Il maestro Olmi a dire il vero si vedeva poco, ma quel costante confronto tra noi allievi ci ha dato una spinta determinante. Ricordo che in quella cucina, dove cucinavamo e mangiavamo insieme, si discuteva tutto il tempo dei nostri progetti, camminando su e giù… eravamo quasi dei peripatetici. In pratica è stata una sorta di formazione collettiva, che nasceva dal dialogo e dallo scambio continuo tra di noi. Poi, è lì che ho conosciuto Toni De Gregorio, Mario Brenta e Giorgio Diritti: con quest’ultimo l’amicizia e le collaborazioni con il tempo sono cresciute, da L’Aura (Il vento fa il suo giro – ndr) a Un giorno devi andare e molti altri progetti… A proposito de Il vento fa il suo giro. Un lungo lavoro, ma anche un successo inaspettato. Sì, il soggetto de E l’aura fai son vir risale ancora alla mia frequentazione della scuola di Olmi a Bassano, Ipotesi Cinema, appunto. Siamo alla metà degli anni ’90. Ad Olmi Rai Uno aveva chiesto di realizzare una serie di film a basso costo, così dovevamo produrre dei soggetti da sottoporgli. Ricordo che avevo registrato verbalmente la storia per darle un sapore orale. Olmi non l’ascoltò subito e, nel frattempo, Giorgio Diritti mi chiese l’opzione sul soggetto per un anno. Era il 1994 e il film è uscito nel 2005… Sono stati dieci anni di dura e frustrante ricerca dei finanziatori, che non sono mai stati trovati, tant’è che il film è poi stato autoprodotto tra il 2004 e il 2005 (dalla casa di produzione di Diritti, Aranciafilm – ndr). Solo per dare l’idea, il progetto è stato bocciato ben due volte dal Ministero. Eppure non ci siamo arresi e abbiamo cominciato le riprese, girando per un anno circa, un po’ in estate, in inverno e in primavera. Una volta uscito, vista la fatica spesa per arrivare fino a lì e tutti i “no” secchi ricevuti, non ci aspettavamo il successo che poi è venuto. Non ne esisteva neppure la distribuzione, ma il film veniva richiesto insieme a quelli di maestri come Bellocchio e c’è stato il caso del cinema Mexico di Milano, che l’ha tenuto in cartellone per due anni… È stato selezionato da festival internazionali (Londra, Ney York, Mosca) e ha collezionato una sessantina di premi, più cinque nomination al David di Donatello. Ricordo che alla premiazione mi ero portato una copia delle lettere che mettevano tutti quei “No” nero su bianco, pronto a leggerne degli stralci se fossimo saliti sul palco. Il David non è arrivato, ma è stata comunque un’esperienza incredibile per noi. Un grande passepartout.
Come va letta la storia? Esiste nel film un messaggio contro o pro la montagna?
La storia si ispira alla vicenda realmente accaduta di un pastore belga capitato a Ostana e costretto a lasciare la valle a seguito di incomprensioni e fazioni all’interno della comunità, e penso che debba far riflettere. Ma per il semplice fatto che ogni racconto dietro la macchina da presa dovrebbe far uscire il tuiru – per usare un termine dialettale che quasi non ha traduzione: quell’insieme di dubbi, domande, persino turbamento che fa meditare, perché la storia ci lasci qualcosa e non sia solo qualche ora passata di fronte a uno schermo, a vedere belle immagini. Nello specifico, l’ambientazione in montagna non fa del film un messaggio “contro la gente di montagna”. È una storia sulle relazioni e sulle difficoltà di rapportarci al diverso. Si tratta di un tema universale, semplicemente riportato in uno spazio più angusto, in una piccola comunità isolata dove tutto diventa più evidente, anziché, per dire, in un quartiere di immigrati alla periferia di una grande città. D’altra parte, non amo per nulla la “retorica della montagna”. La gelosa conservazione di certi valori non vuole dire automaticamente che queste comunità vivano nell’idillio. L’uomo è uomo con tutte le sue contraddizioni, dalla città alla montagna. Anche nel film, non esistono né buoni né cattivi. C’è grettezza, ma anche grandezza, e lo stesso protagonista si mostra fortemente individualista cercando esclusivamente la felicità personale e della propria famiglia senza badare troppo agli altri. Con il senno di poi posso dire che L’Aura ha lasciato il segno anche tra la gente qui da noi, tracciando un “prima” e un “poi”, tanto che molti lo chiamano semplicemente “il film”.
Ma la montagna per Fredo Valla?
È il luogo dove sono nato, cresciuto. Casa mia. È un po’ come il tuo sangue, ci stai bene, anche se, devo dire, sono stato bene in tanti posti nel mondo. L’unico vero rimpianto è quello di non aver mai provato un’esperienza di vita in una grande metropoli.
E la causa occitana?
La causa occitana va contestualizzata negli anni ’60-’70, un momento di grande fervore che ci ha fatto uscire dalla convinzione di essere montanari “di serie B” e che ci ha resi orgogliosi di essere eredi della migliore poesia medievale, della langue d’oc e dei trovatori. E con la causa occitana, abbiamo iniziato a vedere il mondo con occhi nuovi e a scoprire la politica. Erano gli anni della decolonizzazione dei Paesi africani e della guerra in Vietnam. Allora conobbi François Fontan che da Nizza si era rifugiato a Frassino, in Valle Varaita, da dove fondò il Movimento autonomista occitano. La sua visione internazionalista e il principio da lui teorizzato per cui tutti i popoli, indipendentemente dalla forza militare economica e culturale, hanno il diritto di essere autonomi e di mantenere la propria identità, sono stati antesignani del pensiero moderno e ci hanno aperto gli occhi sulle relazioni tra stati, nazioni, persone. È stata una “lezione di liberazione”. L’ideale oggi non è scemato ma, certo, non mi fa piacere vedere che la cultura occitana è limitata all’aspetto folkloristico di canti e danze. Oggi sono più disincantato: ora la causa è dormiente, ma perché la stessa politica è del tutto latitante.
Come nasce L’Aura e perché a Ostana?
L’Aura Scuola di Cinema l’abbiamo fondata io e Giorgio Diritti nel 2012 e da subito abbiamo avuto parecchie adesioni. La scuola si struttura su tre sezioni, che corrispondono poi alle fasi di realizzazione di un film: scrittura, riprese e troupe, montaggio. Perché a Ostana? La posizione isolata, ad alta quota, favorisce l’affiatamento e la motivazione all’interno di un gruppo, sviluppando la riflessione. Cosa indispensabile nella prima parte, quella della scrittura del soggetto, della sceneggiatura, dove devi tirare fuori quello che hai dentro, spesso con risvolti personali e psicologici non da poco. Si parte a maggio con la scrittura, appunto, per poi spostarci in loco per le riprese con le troupe (dove i ragazzi sono seguiti da tutor) per concludere, da fine agosto a fine settembre, con il montaggio all’APM (Scuola di Alto Perfezionamento Musicale – ndr) di Saluzzo, con cui abbiamo avviato davvero una bella collaborazione. Il 2014 è stato un anno proficuo perché i ragazzi hanno potuto realizzare un lavoro sia collettivo sia individuale (il tema era “Vivere felici”), opere che sono poi state acquisite da Rai Cinema, nostro partner nel progetto. Un bel risultato che ha dato loro tanta motivazione a proseguire. Ma tutto questo è possibile soprattutto grazie al sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, della Film Commission di Torino, della Regione Piemonte e della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo. Tra i docenti abbiamo nomi come i registi Alberto Fasulo e Salvatore Mereu, poi Paolo Cotignola (che è stato il montatore di Olmi e Mazzacurati), mentre il primo anno, è stata qui Concita De Gregorio. Tema per il 2015: “La libertà”. Sfidante: giusto per metterci un po’ alla prova… Info: www.laurascuoladiostana.it
Tratto da Unico del 13 febbraio 2015