Fredo Valla e La Barma su Segnali di Lûs
Gennaio 12, 2015Su Segnali di Lûs, la rivista friulana dedicata al cinema, l’intervista a Fredo Valla
Questa la versione in italiano
La Barma, un documentario del regista occitano Fredo Valla
intervista di Fabiano Rosso
Come è nata l’idea di fare un film su Balma Boves?
E’ stato un proposito coltivato nel tempo. Fin dalle prime visite negli anni ’70, meno di un decennio dal suo abbandono, la Balma mi aveva colpito per la particolarità dell’insediamento sotto uno spiovente di roccia. Una vera e propria borgata con il forno, la fontana. Stupivano i tetti piani di tipo mediterraneo, mentre una caratteristica delle valli occitane sono i tetti a falde coperti di lastre di ardesia (lausas). Se ne parlava come la “Mesa verde” delle Alpi.
Ci sono altre località abbandonate come questa nelle vallate occitane?
Lo spopolamento degli anni Cinquanta/Sessanta ha letteralmente svuotato moltissime borgate delle valli occitane. Sul Monte Bracco, ci cono altre località simili alla Barma, però meno conservate. Il Bracco è una montagna con una geologia particolare, sorge tra la bassa valle Po (Paesana, Sanfront, Revello) e la valle Infernotto (Barge) con piccole caverne (tunas) e numerosi tetti naturali di roccia (balmas) sotto i quali sono sorte borgate e meire (abitazioni stagionali per l’alpeggio). Anche per queste caratteristiche il Monte Bracco è stato un luogo di insediamento umano già durante il neolitico. E’ una montagna nota, ne parla Leonardo da Vinci citando la qualità del marmo che si estraeva alle sue pendici. Oggi, sulla sua sommità, ci sono cave di quarzite, lastre di pietra pregiata per l’edilizia. Vi lavorano cavatori cinesi.
In Friuli, soprattutto in Carnia l’emigrazione aveva svuotato i paesi e alcune frazioni sono letteralmente scomparse. Anche qui è stata l’emigrazione o altre mutazioni socio-economiche?
Il villaggio di Balma Boves (localmente “la Barma”) sorge nell’area del castagno. Sono questi tra i territori più poveri delle valli occitane. In quota c’era ricchezza, c’erano pascoli, foraggio, quindi molti bovini a stalla, poi c’era il contrabbando, il mestiere di passeur, l’emigrazione stagionale. La gente era istruita anche per la consuetudine dell’emigrazione in Francia. Nei territori più bassi, la castagna era cibo quotidiano, un po’ di vigna, qualche capra e uno due bovini nella stalla. Il bum economico degli anni Sessanta, il richiamo della Fiat a Torino hanno fatto si che la gente se ne andasse. Per sempre.
In qualche maniera questo documentario si riallaccia ai tuoi due precedenti film sui pelassiers.
Dalla citazione di Pavese si può pensare che qui non si tratti di un piacere archeologico per la riscoperta di mondi scomparsi ma, attraverso questi, piuttosto della ricerca di un mondo a venire?
E’ così. Nonostante la miseria in cui hanno vissuto, i testimoni della Barma raccontano di una felicità parca, essenziale. E sanno anche parlare di amore e di morte in termini moderni. Emozionanti. Rivelano un mondo contadino in cui tenerezza e violenza erano di casa. Spesso si parla di civiltà contadina in termini astratti, ci si dimentica di quanta violenza c’era in quel mondo.
C’è in tutto questo un fascino per un mondo remoto dove le cose avevano un senso, un equilibrio e uno stretto rapporto con la natura. Ora tutto è virtuale e in mano ad una economia distruttiva e sradicante.
Faccio fatica a capire la dicotomia neo-ruralismo/ritorno alla vita in natura e vita in città o metropoli. L’obiettivo è vivere bene, il « ben vivir » di cui parlano le culture indie dell’America latina, in campagna, in montagna, in città, a New York, Londra, Roma o su un’isola della Polinesia. Non si tratta di rifiutare il progresso tecnologico ma di piegarlo alle necessità del vivere bene, consumando ciò serve per vivere ed essere felici. Nulla più.
Molti cittadini vivono le famose vacanze estive in mezzo alla natura come un qualcosa di straordinario, che li riappacifica col mondo, come se vivere in città fosse una condanna, una via obbligata. Allo stesso modo, molti tra coloro che compiono la scelta di un ritorno alla natura, vivono questa scelta come una rivoluzione interiore, in opposizione al progresso. Una colpa che posso imputare al cosiddetto progresso, è di aver creduto di annullare molte culture per soppiantarle con culture egemoni, considerate superiori e unificanti. Il progresso tecnologico in se non è un male. E’ male il suo cieco utilizzo !
Questo fascino lo si coglie anche nei tuoi documentari sui monasteri, come Novalesa, una storia d’inverno.
Amo i monasteri! Oltre Novalesa ne ho realizzato uno sul monastero cistercense di Pra d’ Mill, che sorge in una comba isolata non molto distante da Balma Boves. S’intitola « Sono gli uomini che rendono le terre vive e care ». Ho rubato questo titolo da uno scritto del gradese Biagio Marin.
Qualche anno fa ho realizzato un documentario per Tv 2000 in Bulgaria, sul monastero di Rila. Nei monasteri sento “la Fede” più vicina, la mia ricerca di uomo smarrito della modernità pare sulla buona strada… Allo stesso tempo nei monasteri c’è il rito di cui noi uomini contemporanei sentiamo nuovamente bisogno: il canto, il salmodiare, il ripetere gli stessi gesti alle stesse ore del giorno e della notte, tutta quella ritualità che sopravvive nei monasteri d’Occidente e che l’Ortodossia ha conservato in forma sublime. Vent’anni fa sono andato pellegrino a Monte Athos, la Montagna Santa, un’esperienza profonda. Indimenticabile.
La Barma è parlato tutto in occitano?
Balma Boves sorge nella cosiddetta “zona grigia” di contatto tra l’occitano e il piemontese. Alcuni intervistati parlano il piemontese povero (da nazionalista occitano direi “coloniale”) delle basse valli occitane, altri un occitano “bastardo” che conserva una struttura originale ed elementi di lessico molto interessanti.
Il film è stato presentato in vari festival, ce ne puoi parlare?
Al Babel Film Festival di Cagliari e al Valsusa Filmfest dove ha vinto la sezione Alpi. Mi piace soprattutto ricordare le proiezioni nelle valli e al cinema di Saluzzo. Affollattissime. Il ricordo più bello è legato alla prima del film: una proiezione rurale all’aperto, in una borgata del paese di Sanfront presso la Barma, fra la chiesa e le case contadine, trattori e attrezzi agricoli vari. Tutto vero, nulla di costruito, quattrocento persone, un po’ sedute, per la maggior parte in piedi. E, a fine proiezione, intente a conversare tra loro. A ricordare
E nelle valli come avviene la diffusione?
Il film documentario è distribuito dalla Chambra d’oc (vedi sito) e dal comune di Sanfront. Ma si può richiedere anche sul mio sito (www.fredovalla.it), 15 euro più 2 di spedizione
A proposito della lingua occitana oggi, che punto si può fare della situazione sociolinguistica nelle valli occitane a 15 anni dall’approvazione della 482?
Il bilancio è complesso, grande vivacità musicale, attività scolastiche legate soprattutto alla cultura materiale (ahimé), ripiegamento della lingua nelle famiglie, piccole avanguardie di giovanissimi che si sforzano di ri-apprendere la lingua, attività associazionistica ridotta, a parte alcune sigle storiche come la Chambra d’oc, sempre molto attiva, e il giornale Ousitanio Vivo che ha potenziato le sue pagine. Espaci Occitan, sorto come istituto capace di promuovere la lingua in senso moderno, realizza mostre di qualità (es. sui Trovatori in Italia) ma fatica ad andare avanti. Il governo leghista regionale di Cota, che grazie a Dio se n’è andato, ha ridotto al lumicino i finanziamenti per le minoranze linguistiche. Ora speriamo che con Chiamparino le cose vadano meglio. Ma non è detto!